Il dolore è una condizione con cui abbiamo a che fare quotidianamente. Sempre più spesso si parla del dolore degli altri come una realtà sotto gli occhi di tutti.

All’interno del contesto familiare di ognuno di noi, c’è o c’è stata una persona che più di tutti abbiamo reputato come sofferente e bisognosa di cure.

Sin da bambini, abbiamo instaurato una relazione con questa persona poco veritiera, considerando chi soffre come un’entità da salvaguardare e proteggere.

Il fatto di vedere solo ed unicamente la sofferenza nell’altro, ci ha evitato negli anni, di sentire la nostra, nata appunto, dall’aver scelto di assecondare l’altro a discapito di noi stessi.

La malattia, sia essa di natura fisica o psichica, rappresenta sempre il modo che una persona ha per evolversi. Spesso, inconsciamente, si utilizza la malattia per ricoprire un ruolo apparentemente privilegiato e come forma di “ricatto affettivo” nei confronti di chi ci sta più vicino.

La malattia non è mai una disgrazia o una punizione e non si può e non si deve incolpare altre persone della nostra condizione. Anche il vittimismo, è una forma di malattia, che ci fa credere di essere sfortunati per non aver ricevuto determinate cose.

Nelle relazioni che intrecciamo con gli altri difficilmente ci rendiamo conto di aver assunto il ruolo di salvatore o quello di vittima, ma se abbiamo la possibilità di tornare a percepire il nostro corpo, possiamo iniziare a diventarne consapevoli.

Quando ci prendiamo cura dell’altro a discapito di noi stessi e dei nostri progetti (quello che fa la mamma chioccia), stiamo scappando da noi stessi e ci catapultiamo in un ruolo che non ci appartiene ma nel quale ci sentiamo a nostro agio.

La sensazione di appagamento rimane in essere fino a quando riceviamo un compenso per il nostro impegno (attenzioni particolari, pseudo-affetto, considerazione e riconoscimento). Nel momento in cui vengono a mancare queste forme di ricompensa ci sentiamo frustrati.

La persona che stiamo accudendo ci sta chiedendo, in modo tacito o espresso, lo stesso tipo di ricompensa.

Quando il corpo inizia a farsi sentire e molto spesso in questi casi lo fa con dolori a livello delle spalle, abbiamo la possibilità di scegliere: continuare a recitare un ruolo che seppur comodo, ci evita di confrontarci con la nostra libertà e vera natura o decidere di rischiare di perdere tutte quelle forme di ricompensa che viaggiano sul binario del ricatto affettivo?

Spesso possiamo trovarci nel ruolo opposto e quindi sentirci bisognosi dell’altro ed utilizzare il malessere come modalità per attirare attenzione.

In questi casi, ciò che riceveremo sarà ciò che avremo seminato: una realtà basata sull’inganno.

Le relazioni autentiche dove nessuno si fa carico di nessun altro esistono nel momento in cui decidiamo di confrontarci con quello da cui cerchiamo di scappare per tutta la vita e che si trova, non all’esterno, ma proprio dentro di noi.

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