La patologia che conosciamo con il termine “Endometriosi” si configura come una migrazione di tessuto della cervice uterina in altre sedi.

Questa “fuga” di gruppi cellulari descrive al meglio la natura simbolica di questo disturbo: percepire l’utero come qualcosa di minaccioso.

Sappiamo ormai l’importanza del periodo gestazionale e addirittura dei sei mesi che precedono la fecondazione: il bambino registra tutto ciò che si muove nell’ambiente e soprattutto vive emotivamente ed in modo simbiotico, ciò che vive sua madre.

La donna che oggi sperimenta la sintomatologia endometriosica ha percepito durante la vita intrauterina un ambiente ostile e poco accogliente.

L’utero diventa un luogo dal quale fuggire perché percepito come non sicuro.

La mancanza di fiducia verso l’ambiente uterino verrà traslata in età adulta verso l’ambiente circostante.
Questo vissuto porta la donna a negare a se stessa la possibilità di fidarsi delle proprie capacità di intuito, tipiche della parte femminile.

Più precisamente la donna percepirà il profondo senso di incapacità di far germogliare e portare fino a compimento un progetto.
Non sentirsi capaci e sicuri di creare è alla base della significato simbolico di questo sintomo.
L’endometriosi si esprime attraverso un’infiammazione cronica dei tessuti uterini, sino a coinvolgere, in taluni casi, le pareti del peritoneo: “Faccio in modo, inconsciamente, di trasformare un ambiente fertile e ricco di potenzialità in un ambiente arido (infiammazione=calore)” e sterile.

Secondo la visione propria delle diatesi omeopatiche, avremo un’alternanza tra la diatesi sicotica (ipertrofia dei tessuti e comparsa di neoformazioni) sino alla luesinica (quando è presente anche una tendenza ulcerativa). Quindi abbiamo una tendenza sicotica anche a livello psicologico ( rimuginio mentale con pensieri ripetitivi) e luesinica (tendenza a voler avere o tutto o niente, con forme di estremismo).

Ma dove origina questo profondo senso di inadeguatezza?

Più volte ho scritto sul ruolo della famiglia di origine nel mostrarci, spesso attraverso esperienze dolorose, la strada per la scoperta della nostra vera natura.
Chi soffre di endometriosi spesso ha avuto a che fare con una figura materna che ha scelto, più o meno consapevolmente, di non ascoltare la propria parte femminile.

Si tratta di madri che non hanno sperimentato la forza generatrice della propria creatività e trasferiscono alla propria figlia un profondo senso di frustrazione e sfiducia in esse.

Probabilmente, nessuno in infanzia le ha spronate a mettere a frutto la propria parte creativa e questo, ha inevitabilmente generato un profondo senso di incapacità e rifiuto del potere femminile che viene automaticamente trasferito alla prole.

Ma sappiamo anche, che tutte le memorie che riceviamo in eredità, non sono una condanna a morte, bensì rappresentano il punto di partenza per intraprendere la strada della guarigione.

Il primo passo da compiere se ci troviamo di fronte ad una diagnosi di endometriosi è iniziare a sperimentare il proprio potere creativo, per arrivare a fidarsi del proprio intuito e del proprio sentire sino a renderli completamente svincolati dal rifiuto e dall’approvazione dell’altro.

Spesso, in questi casi, ci ritroviamo a svolgere una professione che prevede gesti ripetitivi e completamente privi di creatività.

Portando l’attenzione sulla necessità della donna di sperimentare e vivere a pieno la parte creativa, l’utero e tutto l’apparato riproduttivo ricordano le originarie e istintive memorie di accoglienza, fertilità e calore, tipiche della nostra parte femminile sana, libera cioè dai traumi e dalle esperienze dell’infanzia.

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