Tradimento: dal latino: “tradere”, composto da tra = oltre e dare = consegnare. Consegnare al nemico. Soprattutto nelle epoche antiche, infatti, tradire, era un atto che si configurava nel tradire la fiducia di una persona vicina, strumentalizzando quella vicinanza confidenziale per condurla verso un avversario.

Da sempre, il tradimento, è visto come una minaccia della qualità e dell’autenticità delle nostre relazioni, siano esse di natura lavorativa o affettiva. Tanto che, moltissimi autori e terapeuti, hanno approfondito la tematica, donandoci brillanti spunti di riflessione e di crescita.

In questo articolo vedremo come, attraverso una maggiore attenzione da rivolgere all’ascolto dei segnali che arrivano dal nostro corpo, possiamo imparare a discernere se ci troviamo di fronte alla paura di essere traditi oppure stiamo vivendo una situazione in cui, ciò che rappresentava solo una paura, è diventata realtà.

Grazie alla fisica quantistica, sappiamo ormai da tempo, come i nostri pensieri e le nostre emozioni e quindi, di fatto, la nostra frequenza vibratoria, creino una realtà corrispondente.

E, anche per questo, se la mia anima si è incarnata per guarire e superare la ferita del tradimento (a proposito di ferite emotive, consiglio la lettura del libro “Le cinque ferite e come guarirle” di Lise Bourbeau) si troverà, prima o poi, necessariamente ad attrarre un’esperienza in cui avrà la possibilità di toccare il dolore di quella ferita.

Parlo di possibilità, poiché, non tutti sono disposti ad immergersi nelle proprie ferite interiori dell’infanzia, che vengono continuamente rievocate dagli eventi che viviamo nella vita adulta: quando si sceglie, consapevolmente o meno, di fuggire dal ricontattare quel dolore, nessuna guarigione può avvenire.

Ciò che accade invece, è una continua ripetizione di situazioni similari, in cui, cambiano probabilmente le persone coinvolte, ma la tematica che ci viene proposta di affrontare è sempre la stessa.

Quindi il “come” decidiamo di affrontare il tema, in questo caso, del tradimento, è determinante per guarire definitivamente quella ferita e voltare pagina.

Facendo riferimento all’etimologia del verbo “tradire” abbiamo visto che, di fatto, affinché si possa parlare di tradimento, è necessario scegliere di consegnare “qualcosa” o “qualcuno” al nemico. Ma chi è il nemico?

Siamo erroneamente abituati a pensare al nemico come ad una situazione o persona fuori di noi, eppure, chi conosce le leggi che regolano la natura e l’aspetto evolutivo dell’essere umano, sa bene che, l’unico nemico del quale tenere conto è una parte di noi che, se non riconosciuta, ci mette i bastoni tra le ruote.

Questa parte “nemica” all’interno di noi svolge il ruolo di avversaria di noi stessi, fino a quando non decidiamo di ascoltarla, accoglierla, amarla ed educarla. E’ la parte di noi bambina, che ha vissuto la mancanza di amore, comprensione, attenzione e ad oggi ancora soffre.

Ed è proprio questa parte che, vibrando ad una frequenza di bisogno e mancanza, attira a sé, e quindi nella nostra vita,  persone ed esperienze caratterizzate dalle stesse disfunzionalità: se mi rifiuto, di iniziare ad amare questa parte, facendo tutto il possibile per soddisfare i suoi bisogni attraverso le mie cure e il mio amore, getterò il primo seme del tradimento.

Di fatto quindi, una persona che viene tradita o tradisce, ha già necessariamente tradito sé stessa. Finché continueremo a pensare che qualcosa o qualcuno all’infuori di noi, possa farsi carico e prendersi cura della nostra parte bambina, continueremo a ripetere schemi disfunzionali e a gravitare nell’ombra di noi stessi e della sofferenza.

Per arrivare a soddisfare i bisogni della parte bambina vi è un passaggio obbligato: bisogna necessariamente tornare a sentire nel corpo emozioni non proprio piacevoli ed è qui che molti si fermano e mettono in atto azioni compensatorie, pur di non sentire il vuoto e la mancanza.

Da tutto questo, possiamo facilmente evincere che, dentro di noi, quando va bene :), esistono almeno due “Io” che possono diventare alleati e perseguire lo stesso scopo di evoluzione.

Per arrivare a generare questa unione, dobbiamo necessariamente partire dall’ascolto del corpo ed iniziare ad integrare ogni parte di noi, in modo da accordare il nostro strumento musicale su un’unica frequenza: la frequenza dell’Uno.

Come accennato all’inizio dell’articolo, il nostro corpo, a dispetto della nostra mente, conosce molto bene la verità e, ancor meglio, cosa e\o chi è funzionale o meno per la nostra evoluzione. In questo caso, parlo di evoluzione, per definire una condizione in cui ci permettiamo di scegliere persone o situazioni che ci portano ad uscire da ciò che è familiare e quindi, ci conducono verso l’autorealizzazione.

Attraverso segnali inequivocabili come, nausea, chiusura del plesso solare, mal di testa, perdita improvvisa di energia, ansia e angoscia, malessere improvviso, dolore o tensione all’apparato riproduttivo, il nostro corpo, ci invita a prestare la massima attenzione a ciò che stiamo vivendo, sia in termini di persone che situazioni.

Quando non ascoltiamo questi primi segnali di allarme del nostro sistema corpo-mente, di fatto, stiamo gettando nel terreno il secondo seme del tradimento. Quindi, iniziamo a mettere in dubbio che, quei segnali di malessere, siano collegati a qualcosa che abbiamo attratto nella nostra vita e che potrebbe risvegliare in noi dinamiche di sofferenza e, nella migliore delle ipotesi, prendiamo una sostanza che spenga quel disagio.

Sostanzialmente ci distraiamo dalla richiesta di attenzioni della nostra parte bambina, tradendola nuovamente, come è avvenuto in infanzia, quando cercavamo, in maniera sana per l’età, l’amore e la cura dalle figure di riferimento. Le distrazioni possono essere molteplici: alcol, fumo, droghe, social, relazioni, lavoro, ecc.

Solo una persona capace di confrontarsi con sé stessa, riconoscendo le emozioni che si nascondono dietro questi disagi fisici, può aprirsi realmente ed emotivamente all’altro. Poiché la prima e più importante relazione è quella con noi stessi.

La natura della relazione che abbiamo con noi stessi determina la qualità delle relazioni che avremo con gli altri.

Tradire sé stessi significa anche, fuggire dalle proprie responsabilità: quando, erroneamente penso che sia l’altro a dovermi rendere felice, mi sto di fatto illudendo di rivivere ciò che ho avuto o non ho avuto in infanzia, delegando la responsabilità della mio benessere ad un altro.

Ma come è possibile distinguere, dai segnali del corpo, la paura dalla “realtà”?

Se decidiamo di guardare in faccia la paura e di affrontarla, quello che per noi poteva sembrare inizialmente qualcosa di insormontabile, diventerà, al contrario, qualcosa di familiare.

Ed è qui che torniamo al ruolo del libero arbitrio: una volta che decido di affrontare quelli che sono i miei limiti in ambito relazionale, superandoli al meglio delle mie possibilità del momento, se continuo a voler rimanere “attaccato” a qualcosa di familiare e quindi, di conosciuto, perderò altre e nuove opportunità di crescita ed evoluzione.

Volendo essere ancora più specifica … se decido di rimanere in una dinamica di sofferenza, sto decidendo di fatto, di tradire nuovamente me stesso, escludendo dal mio campo, esperienze collegate alla gioia e all’amore.

Per quanto detto finora, per arrivare a sperimentare e quindi ad attrarre persone e situazioni di gioia e armonia, devo aver necessariamente prima trasformato dentro di me e quindi, nel corpo, tutto ciò che ancora risuona con la sofferenza. E questo, è un lavoro quotidiano.

Un corpo che vibra ad una frequenza di gioia e amore, non è solo un corpo che non ha sintomi, bensì, è un corpo che vive una condizione di piena vitalità: solo in questo modo, grazie all’impegno costante, potrò prendermi cura della mia parte bambina e guarire me stesso.

Per consulenze individuali: info@alessiamacci.it

 

 

 

 

 

 

 

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